Un mio articolo su La Tigre di Carta

KINTSUGI: L’ARTE DI RENDERE UNICA LA FRAGILITÀ

La storia, la tecnica e la filosofia

Quanti tipi di rottura conoscete? Comunque siano, il risultato è sempre formato da cocci, più o meno grandi, più o meno numerosi, ma cocci; ciò che cambia è il processo che ha portato alla rottura perché ogni oggetto conserva dentro di sé la sua storia.

La rottura più comune è quella accidentale dovuta a eventi naturali, un colpo di vento, un libro che scivola dalla libreria, o a un gesto maldestro, un movimento improvviso e succede il danno, la caduta a terra e la frammentazione, lo sgretolamento di piccoli pezzi.

C’è poi la rottura cercata, la rabbia che ci spinge a gettare a terra un oggetto, una sorta di parafulmine, che, quando siamo accecati, ci spinge a buttare addosso al nemico una tazza, un vaso, non conta quanto sia prezioso, anzi, alle volte più è prezioso e più ci sentiamo felici nella nostra pazzia.

E c’è l’incuria del tempo che passa, i traslochi, i cambi di destinazione, di proprietario, che fanno sì che l’oggetto si crepi, sbiadisca, si rompa.

Storie, questo conservano gli oggetti, storie di rotture, storie di vita; e pur sempre, alla fine, cocci.

L’arte kintsugi racconta storie di rotture e nasce proprio dalla rottura accidentale della preziosa tazza tenmoku di Ashigaka Yoshimasa, ottavo shogun dell’epoca Muromachi, in Giappone, verso la fine del XV secolo… continua qui “Kintsugi, l’arte di rendere unica la fragilità” 

2 pensieri su “Un mio articolo su La Tigre di Carta

  1. Articolo stupendo, me lo sono inserito nei Preferiti, per leggerlo tante volte. Ah, wabi sabi…credo proprio che mi rispecchi. Mi sento sempre di più un oggetto da kintsugi 🙂

    • Grazie mille, mi fa piacere che tu lo abbia trovato interessante. Sì, la trasposizione dall’arte all’anima è perfetta, le possibilità del kintsugi parecchie: se impariamo a curare le nostre ferite, riconoscendole, la vita è più leggera.
      Spero di incontrarti presto 🙂

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