Fate, domatrici e assassine.

Oggi è un tripudio di auguri per la festa della donna. Sappiamo tutti essere una festa commerciale e per nulla sentita, se non forse dalle piccole donne che ancora credono nei sogni.
Per il resto è un mero scambio di formalità, ma questo è spesso la vita, un calendario di date che ci ricordano il nostro passato.
Ciò non toglie che una riflessione sulle donne venga spontanea, soprattutto in tempi come questi di confusione di genere, di violenze, di torture psicologiche e fisiche, di ostentazione di corpi e poca intelligenza: io, posso dirlo chiaramente, non mi sento a mio agio, non sono serena, non trovo una collocazione, ruoto intorno alla ricerca della mia sedia. E non capisco da che parte stare, non mi vergogno a dirlo.

Le donne sono anime belle, luminose, sono madri perché nate per procreare. Sono l’esempio dell’amore, della tenerezza, sono la fonte di pace e accettazione.
Ciò che invece la vita riporta è tutt’altro, una necessità, una rabbia, una violenza dentro che trasforma le donne, le inacidisce, le abbruttisce, le rende gelose, invidiose, tese al riconoscersi con le palle, a detestare gli uomini, a farne senza con orgoglio, a volerli solo per loro, in una smania di possesso. Le donne disconoscono i figli, li uccidono, si lasciano tormentare da uomini inutili e violenti, le donne fanno parte delle mafie di potere, castrano sogni, si gonfiano, sgonfiano, grazie alla chirurgia estetica, parlano male delle altre donne, in segreto, quando di fronte fintamente le adulano. Le donne fanno le assassine, legano al collo uomini cane, li inchiodano con le loro vagine profumate, scrivono sogni che non mantengono, illudono, pretendono, domatrici di teste mozzate.

Spesso ho scritto che preferirei la mente di un uomo, schematica e razionale, menefreghista e leggero; spesso e ancora ora.

Ma sono una donna e ho solo questi occhi meravigliosi che vedono oltre e questo cuore bizzarro di sogni.
Dovrò imparare a farmene una ragione.

Chiara 

18 pensieri su “Fate, domatrici e assassine.

  1. «Secondo te, in cosa sono diversi i maschi e le femmine?»
    «Facilissimo»
    «Allora dimmelo»
    «I maschi hanno il pisello»
    «E le femmine?»
    «La patatina e le tette»
    «E poi? Quale altre differenze ci sono?»
    «Nessuna»
    «Nessuna nessuna?»
    «No»
    «Nessuna differenza nel modo di pensare?»
    «No»
    «Nella forza o nel coraggio?»
    «No»
    «Nelle cose che sanno fare?»
    «No»
    «Nelle cose che possono fare?»
    «No, nessuna differenza. Tutti possono fare tutto»
    «Sei sicuro?»
    «Sì».
    Mio figlio ha sei anni. No, non è cresciuto in una comunità hippy alla periferia di Stoccolma, né ha fatto da cavia di un esperimento psico-sociologico per l’abolizione delle differenze di genere. Frequenta la scuola pubblica e ha due fratelli, maggiori e mediamente beceri, che, ne sono certa, risponderebbero in tutt’altro modo alle stesse domande.
    Temo che la sua sublime visione paritaria del mondo abbia radici anagrafiche, più che educative o ambientali.
    A sei anni siamo uguali, fatto salvo qualche trascurabile dettaglio anatomico. E a sette? A nove? A quattordici?
    A quale età, esattamente in quale punto del nostro cammino le cose cambiano? Dove sbagliamo? Dove inciampiamo?
    In che momento loro iniziano a pensare che noi siamo più deboli, più noiose, più lamentose, meno meritevoli di loro?
    Forse proprio nell’attimo esatto in cui noi iniziamo a pensarci difettose, a temere i nostri talenti, a infliggerci il castigo dell’ombra, loro si fanno largo a spallate e occupano tutti i posti al sole.
    Da lì a sentirsi superiori, il passo è breve. Da lì a convincerci che non siamo capaci è un attimo.
    «Mamma, oggi abbiamo giocato con le femmine»
    «Bene. Che gioco avete fatto?»
    «Noi eravamo cani con denti a sciabola»
    «Ah. E loro?»
    «Le padrone dei cani con i denti a sciabola»
    «E poi?»
    «Poi niente».
    Se ci ricorderemo, l’8 marzo e tutti gli altri giorni dell’anno, che loro, un tempo, erano cani con i denti a sciabola e noi le padrone dei cani con i denti a sciabola, forse oggi potremo fare più e meglio di così.

  2. “Le donne sono anime belle, luminose, sono madri perché nate per procreare. Sono l’esempio dell’amore, della tenerezza, sono la fonte di pace e accettazione.”

    perché oggi le donne sembrano ignorare la grandezza di quello che hai indicato tu con queste poche e semplici parole? Questi dovrebbero essere i valori più alti a cui tutti dovremmo ambire e nulla d’altro … eppure non é così!

    Le donne (non tutte ovviamente) mi fanno sempre più paura!

    AIUTOOOOOOOOOO

    • Una parte delle donna fa paura anche a me e come avrai capito, non mi riconosco più. Ho appena letto di un folto gruppo di donne indignate per la pubblicità della Barilla dove una bambina prepara la cena al papà, la figlia e non il figlio.
      Se andiamo avanti di questo passo ci odieremo tutti senza differenza.

      • pazzesco veramente!

        come si fa a vedere del brutto in una bambina che prepara la cena al papà?

        non riesco proprio a vedere uomini o donne dentro questa scena, scorgo unicamente la bellezza del gesto.

        che tristezza 😦

        • In effetti anche per me è stato così, una pubblicità di un attimo di vita, tutto qui. E invece si deve andare a cercare il torbido, gettare rabbia come se mettere una donna ai fornelli sia un’offesa. Che poi, se vogliamo, la bambina usa un sugo già pronto, quindi nemmeno troppo massaia…

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