È di pochi mesi fa l’installazione/donazione alla città di Milano della grande opera di Michelangelo Pistoletto, la “Mela Reintegrata” un colosso bianco di 11 tonnellate, 8 metri in altezza e 7 di diametro a forma di mela, realizzato in polvere di marmo, argilla coperta di intonaco.
Una mela morsicata e ricucita fa bella mostra di sé nella piazza antistante la stazione Centrale di Milano, in prospettiva diretta con il Pirellone.
Dice l’autore intervistato dalla rivista Panorama: “La gente deve capire che questo non è il lavoro individualistico di un artista, ma un’opera d’interesse comune che significa cambiamento. La mela è un simbolo che arriva da molto lontano: si trova nella Bibbia e attraversa la storia. Con questo rappresento il passaggio dal Primo Paradiso, la condizione naturale in cui l’uomo era perfettamente integrato, a uno status sempre più artificiale in cui siamo stati spinti dal morso, qui ricucito da un filo in acciaio inossidabile. Un materiale moderno, perché è la tecnologia che reintegra natura e artificio, portando una terza, nuova visione.”(qui l’intervista completa)
La Mela Reintegrata era già apparsa sul suolo milanese un anno fa, quando Michelangelo Pistoletto installò una grande mela ricoperta d’erba sulla piazza del Duomo, incorniciandola nel Terzo Paradiso realizzato da balle di fieno.
Come spesso cerco di fare, mi piace parlare di cose che vedo. Ero quindi andata a Milano a vedere la mela ( e ne avevo scritto qui) e ci sono tornata in questi giorni per vedere la nuova mela bianca.
E l’ho fatto perché i commenti che ho letto non sono del tutto positivi, anzi. Si tende a dire che, pur essendo artista di alto livello, questa sua ultima opera sia un buco nell’acqua, inserita in un contesto poco consono, inutile nella sua realizzazione.
Il mio pensiero è molto simile a questi commenti; vista da vicino pare più una mela di Disneyland piuttosto che un’opera concettuale. Il bianco, ora bianchissimo e pulito, non depone a favore del suo futuro, visto che è inserita in un contesto urbano molto inquinato. Il picciolo e le foglie svettano sulla cima, ma paiono più frecce puntate che altro. La cucitura, se non si legge prima la spiegazione da parte dell’autore, è difficile da capire.
La Mela, più che opera d’arte, pare più, lasciatemelo dire, uno di quei baracchini della Cocacola e della Vodafone di cui Milano è piena durante il fuorisalone e ti aspetti da un momento all’altro di vedere comparire una hostess a proporti qualcosa.
Con questo non dico sia brutta, ma che a mio giudizio, non è arte. È più uno stratagemma commerciale. Sfido, come dice Michelangelo, a vederla come arte partecipata e che quindi coinvolge tutti: per ora ho visto solo che il basamento su cui poggia è usato come panchina/sdraio dagli innumerevoli extracomunitari che hanno preso la piazza della stazione come loro dimora. Ed è anche triste, se vogliamo, questa mancanza di rispetto.
L’arte va rispettata sempre? Dove sta il confine tra arte e qualcos’altro, chiamatela come volete la mela reintegrata.
Già, come la chiamiamo questa Mela?