“Frattura” di Andrés Neuman

Sono stata invitata a commentare il libro “Frattura” di Andrés Neuman per un caffè letterario come esperta di arte tradizionale Kintsugi.
Nel libro infatti, viene spesso citata la tecnica giapponese.

La seconda di copertina così inizia la trama:“Il Kintsugi è un’antica pratica giapponese che prevede l’utilizzo dell’oro -o di un altro metallo prezioso- per saldare i frammenti di un oggetto rotto. Grazie a queste pregiate riparazioni, l’oggetto rovinato diventa un’opera d’arte. Il kintsugi è la celebrazione delle cicatrici, l’elogio delle linee di frattura”

Il libro racconta la storia di Yoshie Watanabe, un sopravvissuto -Hibakusha- a Enola gay di Hiroshima, il 6 agosto 1945, e rimasto orfano dopo la seconda bomba a Nagasaki. Il racconto si dipana tra il presente di Yoshie durante il disastro di Fukushima e il suo passato, narrato attraverso gli occhi delle sue amanti, una per ogni paese da lui vissuto. È la storia di un uomo e delle sue difficoltà, una tra tutte, la più importante, ritrovare il suo centro perso durante l’esplosione. Il libro scorre leggero quando è Yoshie a parlare, diventa invece a tratti noioso e prolisso quando sono le sue donne a raccontare, anche perché, a dire il vero, tutte raccontano lo stesso uomo, con le stesse caratteristiche e sembra, ad ogni capitolo, di leggere quello precedente.

Ma non sono qui per recensire il libro, quanto per commentare il kintsugi.
Già, l’arte Kintsugi. Cosa c’entra in questo come libro? Come c’entra?
Qui di seguito le parti del libro dove il kintsugi viene citato.

pag.15 “Il signor Watanabe osserva quel catalogo di strumenti precipitati. Si china a esaminarli e li riappende. Nessuno pare aver subito danni irreparabili. Anzi, si corregge, fino a che punto è riparabile un danno? Non varrebbe la pena fare qualcosa di diverso? Perché dissimulare le imperfezioni dei suoi banjo, e non includerle nel restauro? Tutte le cose rotte, pensa, hanno qualcosa in comune. Una crepa che le unisce al loro passato…Da qui, forse, l’ammirazione crescente che nutre per il kintsugi. Quando una ceramica si spacca, gli artigiani del kintsugi inseriscono un po’ di polvere d’oro in ogni fessura, evidenziando il punto in cui si è rotta. Le fratture e le riparazioni sono esposte invece che occultate, e passano a occupare un posto centrale nella storia dell’oggetto. L’atto di rendere manifesta questa memoria lo nobilita. Ciò che ha subito un danno ed è sopravvissuto può essere considerato più prezioso, più bello”

È forse la parte dove maggiormente l’arte viene raccontata, nel giusto contesto, come elemento decorativo e descrittivo di alcuni oggetti, i banjo. Non invece si può parlare della vita, dove il signor Watanabe, sopravvissuto, si sente tutto fuorchè prezioso e bello.


-pag.107 “In qualche modo, riflette, l’efficente restauro di Tokyo tradì il principio del kintsugi: fu portato a termine senza conservare traccia dei bombardamenti”

Si parla del bombardamenti della seconda guerra mondiale: la parola tradì è inopportuna se pensiamo al popolo giapponese che ha l’abitudine di abbattere e ricostruire certi templi con cadenza cerimoniale. Un esempio e’ quello del Kasuga Taisha, uno dei più famosi templi di Nara, cittadina non distante da Kyoto. Il kintsugi è solo una delle tecniche di restauro, non per questa necessariamente adatta a tutte le strutture.


-pag. 113 “Si propongono anche scarpe visibilmente usurate. Spesso sono più costose di quelle nuove. Si venera l’esperienza dell’oggetto, come nel kintsugi”

Kintsugi come storia raccontata, non solo linea d’oro ma segno del tempo che passa.

-pag.142: “La grande cicatrice alla base del seno sinistro è diventata il punto più importante del mio corpo. La sua memoria sensibile. Lo cantava il vecchio Coen: There is a crack in everything / That’s how the ligth gets in”

Bello, ma questa frase di Coen ci ha un po’ stufato no?

-pag.205: “Il futuro sigillato. Seppellire la tragedia. Il signor Watanabe ripensa di nuovo al kintsugi. L’arte di unire le crepe senza segreti. Di riparare mostrando il punto della frattura”

Questo è il senso dell’arte tradizionale giapponese, non seppellire, lasciare visibile in superficie il tempo che passa.

-pag.211: “E l’aveva pregata, se ne avesse avuto l’occasione, di inserire in qualche volume una variante immaginaria del kintsugi. Gli pareva che l’assenza di quella parola in altri vocabolari, l’inesistenza del concetto stesso, rivelasse una lacuna significativa. Bisognerebbe tradurla in tutte le lingue, pensa, inventare sinomini.”

Non sarebbe una cattiva idea. Kintsugi è un termine giapponese, potremmo provare anche noi a coniarne uno nuovo. -escludendo la resilienza, grazie, che è abusata, trita e ritrita su tutto.

-pag.378: ” Mi scusi se ho tardato ad aprirle, dice il signor Sato. Ero sul retro, stavo riparando una ceramica. Le piace il kintsugi?
Sempre di più, risponde Watanabe.
E lo pratica?
Diciamo di sì.
Io lo praticavo da giovane. Poi, con la famiglia, l’ho messo da parte. Finchè mi sono detto: perché no? Uso soltanto pezzi da poco, ovviamente. Non posso permettermi altro. L’importante è riparare.”

Uso soltanto pezzi da poco perché non posso permettermi altro è un concetto errato se si pensa al kintsugi. Da quando ho cominciato a lavorare con l’arte tradizionale mi sono trovata di fronte a restauri di oggetti di pochissimo valore commerciale, spesso pochi euri, oggetti che avrebbero potuto essere acquistati nuovi e interi senza problemi e con poca spesa, ma che avevano enorme valore affettivo. È questo uno dei cardini su cui ruota l’arte di riparare con l’oro: rendere di nuovo utilizzabile un oggetto rotto, e se questo oggetto mi ricorda un momento della vita, una persona, quale miglior modo di aggiungerci dell’oro?

pag.395: “I sudoku mi rilassano, dice, perché fermano il tempo. Esattamente il contrario del kintsugi. Non trova?”

E qui mi arrendo, cosa avrà voluto dire? Che il kintsugi lascia correre il tempo? O che non rilassa? Io, dal mio tavolo di lavoro, posso dirvi che quando restauro sono me stessa, rilassata, serena, e quando vedo le mie opere finite non posso che pensare che la storia che raccontavano è finalmente tornata viva.

“Frattura” di Andrés Neuman: dove il kintsugi viene usato come traccia nella narrazione ma non per raccontare la vita. E del perché non si può, a mio umile giudizio, iniziare la traccia del libro in seconda di copertina con la descrizione del kintsugi come tema fondante del libro. Perché così non è, il signor Watanabe anzi, scrive di sè: “Se si sentiva sano, pieno di forze e desideroso di vivere la giovinezza, perché doveva presentarsi al mondo come un invalido perpetuo, come una persona incapace di ricostruirsi la propria vita?”

Frattura è quindi la storia della vita di un uomo che sfugge ai suoi ricordi, che prova ogni volta, in una nuova città, a costruirsi delle radici senza mai riuscirsi, incapace di accettare la sua fragilità.
Forse, e mi piace crederlo, il kintsugi è una speranza, un momento di pace dove prendersi cura dei propri oggetti rotti.
Forse, ma non possiamo saperlo perché il libro ha un finale aperto, il voler arrivare al centro del disastro di Fukushima, vicino alla centrale, nell’ultimo cerchio proibito, esposto alle radiazioni, forse, questo, è il kintsugi del signor Watanabe.

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