La prefazione

Da tempo volevo acquistare un libro di Raymond Carver e “Di cosa parliamo d’amore quando parliamo d’amore” è il mio primo.
Ho aspettato come un’amante il suo sposo, le persone che lo hanno raccomandato me lo hanno fatto immaginare come un innamorato sul ciglio della porta, pronto ad aspettarmi.
Apro il libro e trovo la prefazione di Diego De Silva. Premettendo che nulla ho contro Diego De Silva, che neppure so chi sia, ma ad aspettarmi sull’uscio io ci volevo Carver, non lui.
Cosa può aggiungere in più delle parole di uno scrittore, un prefazionista? Il suo pensiero, non il mio. E mi serve? No.

No, non amo le prefazioni, non le leggo, di certi libri ne ho anche tolto le pagine per ridare vero valore all’autore perché è solo di lui che mi importa. Spesso le prefazioni sono raccolte di parole vuote. Scritte da persone che non so. E che non mi interessano.

Amo la biografia, quanto è bello sapere la vita degli autori (avete mai letto ad esempio la vita di Calvino?), com’è interessante vedere in quali anni è stato scritto un libro, quali accadimenti possono aver fatto cambiare un’idea, rafforzarne un’altra.
E mi piacciono anche le postfazioni, quelle che arrivano dopo la lettura, e sono come il profumo lasciato sul collo dopo l’ultimo bacio.

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